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Sindrome di Dubin-Johnson
ORPHA:234
Livello di Classificazione: MalattiaRiassunto
La sindrome di Dubin-Johnson (SDJ) è una malattia epatica benigna ereditaria caratterizzata, dal punto di vista clinico, da iperbilirubinemia cronica, prevalentemente coniugata, e dal punto di vista istopatologico, da deposito di pigmenti di color nero-marroncino nelle cellule epatiche parenchimali. La prevalenza nella popolazione generale non è nota. La SDJ interessa tutte le etnie ed è più diffusa tra gli Ebrei Marocchini o Iraniani, con una prevalenza di oltre 1/1.300 soggetti, per l'effetto di un ``fondatore''. I pazienti adolescenti o gli adulti giovani di solito presentano ittero ricorrente lieve o moderato, senza prurito, spesso causato da una malattia ricorrente, dalla gravidanza, dai contraccettivi orali o dai farmaci. A volte sono stati descritti dolori addominali e affaticamento durante le riacutizzazioni della malattia e raramente può essere presente epatosplenomegalia. I livelli di bilirubina totale nel siero (in particolare nella forma coniugata la percentuale di bilirubina totale e coniugata nel siero è del 50-80%) sono elevati, di solito tra 2 e 5 mg/dl (molto raramente oltre 20 mg/dl). Sono normali le attività enzimatiche del fegato (l'aminotransferasi, la fosfatasi alcalina, la gamma-glutamil transpeptidasi), la concentrazione totale degli acidi biliari, i livelli di albumina e il tempo di protrombina. È stata osservata un'associazione con il deficit del fattore VII della coagulazione (si veda questo termine), in particolare negli Ebrei Iraniani e Marocchini. Le analisi istologiche rivelano un deposito caratteristico di pigmenti granulari di colore nero-marroncino nel citosol degli epatociti, in particolare nell'area centrolobulare, in assenza di altre anomalie istologiche. La SDJ viene trasmessa come carattere autosomico recessivo ed è dovuta alle mutazioni omozigoti del gene ABCC2. ABCC2 codifica per il trasportatore della membrana apicale ATP-dipendente, che media il flusso dei glucuronidi della bilirubina e gli altri anioni organici coniugati dagli epatociti verso la bile. La diagnosi viene sospettata nei pazienti che presentano iperbilirubinemia coniugata isolata (senza alterazioni delle attività enzimatiche del fegato), in assenza di una condizione settica, di anomalie visibili all'ecografia o di interferenze farmacologiche. In questo caso, sono indicativi della diagnosi di SDJ i livelli caratteristici delle coproporfirine urinarie (una percentuale elevata di coproporfirine I (oltre l'80%) con livelli normali di coproporfirine totali). È utile anche la colescintigrafia 99mTc-HIDA che mostra la mancata visualizzazione o la visualizzazione ritardata della cistifellea e dei dotti biliari e la visualizzazione prolungata del fegato. La diagnosi definitiva è possibile mediante le analisi molecolari del gene ABCC2. Anche se le analisi istologiche permettono una diagnosi definitiva, la biopsia epatica non è effettuata in modo sistematico, per la sua invasività e la prognosi favorevole della malattia. La principale diagnosi differenziale si pone con un'altra forma di iperbilirubinemia prevalentemente coniugata, la sindrome di Rotor (RT; si veda questo termine). Non esiste un trattamento risolutivo per la SDJ, anche se è stato osservato che la somministrazione a breve termine di fenobarbital riduce in alcuni casi i livelli di bilirubina nel siero. La SDJ è una malattia benigna e la prognosi per i pazienti è buona. Una diagnosi corretta permette di evitare procedure diagnostiche, trattamenti e follow-up inutili. La malattia non evolve verso l'insufficienza epatica, la cirrosi o la fibrosi epatica.
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