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Mielofibrosi primitiva
Definizione della malattia
La mielofibrosi primitiva (PMF) è una neoplasia mieloproliferativa rara, caratterizzata da iperproliferazione clonale di linee mieloidi mature derivate dalle cellule staminali (eritrociti, leucociti e magacariociti) con variabili atipie dei megacariociti, associate a fibrosi del midollo osseo da reticolina e/o collagene, osteosclerosi, eritropoiesi inefficace, angiogenesi, ematopoiesi extramidollare ed anomala espressione delle citochine.
ORPHA:824
Livello di Classificazione: Malattia- Sinonimo/i
:
- Metaplasia mieloide agnogenica
- Mielofibrosi con metaplasia mieloide
- Mielofibrosi idiopatica
- Mielosclerosi con metaplasia mieloide
- Prevalenza: 1-9 / 100 000
- Trasmissione: Non applicabile
- Età di esordio: Età adulta
- ICD-10: D47.4
- ICD-11: 2A20.2
- OMIM: 254450
- UMLS: C0001815
- MeSH: D055728
- GARD: 8618
- MedDRA: 10077161
Riassunto
Dati epidemiologici
L'incidenza annuale è circa 1/100.000, con una prevalenza più elevata nella popolazione degli ebrei Askenaziti.
Descrizione clinica
Di solito la malattia viene diagnostica nell'età adulta, nella sesta decade di vita. I segni clinici dipendono dalla tipologia delle cellule ematiche interessate e comprendono l'anemia grave, il pallore, le petecchie, le ecchimosi, le emorragie, la trombosi, la pancitopenia, il prurito, l'ipermetabolismo, la marcata epato/splenomegalia e/o alcuni sintomi costituzionali come l'affaticamento, la febbre e la sudorazione notturna. L'ipertensione portale sintomatica e l'ematopoiesi extramidollare epatosplenica possono causare emorragie da rottura delle varici, asciti, versamento pleurico e/o ipertensione polmonare. In circa il 20% dei pazienti la malattia evolve nella leucemia.
Dati eziologici
Alcune evidenze suggeriscono un ruolo della disregolazione della via del segnale JAK2-STAT5 nella patogenesi della PMF. La mutazione più frequente è JAK2V617F nel gene JAK2. Sono state inoltre individuate mutazioni nel gene MPL, che codifica il recettore della trombopoietina, e nel gene CALR. Anche la linea dei megacariociti contribuisce alla patogenesi dato che queste cellule producono varie citochine profibrotiche, angiogeniche e proinfiammatorie, che si ritiene abbiano un ruolo nella fibrosi del midollo osseo, nell'osteosclerosi e nell'angiogenesi.
Metodi diagnostici
La diagnosi si basa sulla presenza dei tre criteri maggiori e di almeno uno dei criteri minori. I criteri maggiori sono la proliferazione dei megacariociti e la presenza di fibrosi di grado 2 o 3 indotta dalla reticolina e/o dal collagene; l'assenza di altri segni di proliferazione cellulare e di tumori nel sangue e nel midollo osseo (classificazione OMS); i test positivi per le mutazioni nei geni JAK2, CALR o MPL. I criteri minori comprendono l'anemia, la leucocitosi, i livelli di LDH e la leucoeritroblastosi, evidenziate dagli esami ematici.
Diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale si pone con altre neoplasie mieloidi strettamente correlate, come la leucemia mieloide cronica, la trombocitopenia essenziale, la policitemia vera, le sindromi mielodisplastiche, la leucemia mielomonocitica cronica, la panmielosi acuta con mielofibrosi e la leucemia megacarioblastica acuta.
Consulenza genetica
La malattia non è ereditaria, ma è causata da mutazioni geniche che possono insorgere a tutte le età. La maggior parte dei casi è sporadica, ma in un sottogruppo di pazienti è stata osservata una predisposizione familiare e alcuni studi epidemiologici hanno evidenziato la presenza di alleli di suscettibilità comuni.
Presa in carico e trattamento
Storicamente la malattia è stata trattata con la splenectomia e il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (HSCT). Il trapianto costituisce l'unico trattamento in grado di prolungare la sopravvivenza o, potenzialmente, di curare la malattia, ma si associa a una morbilità importante e ad un tasso elevato di mortalità correlata al trapianto; di conseguenza, si raccomanda un'attenta valutazione del rapporto rischio-benefici in ogni paziente. La terapia farmacologica con gli inibitori delle JAK riduce i sintomi e la splenomegalia, ma non modifica favorevolmente la storia naturale della malattia né prolunga la sopravvivenza; anche in questo caso è necessario valutare con attenzione il rapporto rischio-benefici.
Prognosi
La gravità e la prognosi sono variabili e dipendono dai geni interessati e dai sintomi. La valutazione del rischio attraverso il Sistema Internazionale di Classificazione Prognostica (IPSS) e il Sistema IPSS Dinamico (DIPSS) si è rivelata utile nel classificare i pazienti in categorie di rischio al momento della diagnosi ed anche successivamente. Un sistema di classificazione più recente (MIPPS70) appare particolarmente utile nello stratificare i pazienti in età idonea al trapianto.
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